Manager: tutte le strade portano alla delega

Articolo a firma di Alessandro Frè e Federico Ott apparso sul numero di gennaio 2019 di Leader

C’è stato un tempo in cui le strade di Bologna erano famose per il loro ribollire di oggetti di oro falso e metalli di bassa lega. Da qui, si pensa, proviene la parola “sbolognare”, che in molti ritengono essere il sottinteso inespresso del più elegante “delegare”. La delega è una sorta di bivio di fronte al quale il manager si trova costantemente e non importa quale strada sceglierà o sarà chiamato a percorrere: prima o poi, infatti, quel bivio gli si ripresenterà davanti.

Ed è una scelta cruciale: il modo in cui un manager approccia e gestisce la delega impatta inevitabilmente su tutto il suo operato e molto influisce sul raggiungimento dell’obiettivo.
Partiamo dall’etimologia: il sostantivo inglese manager, ormai divenuto di uso comune anche lungo tutto lo Stivale, deriva dal verbo francese manager, che a sua volta proviene dall’espressione latina manu agere, letteralmente “condurre con la mano“.
Esiste un’altra versione, indubbiamente più sfiziosa, che fa risalire la nascita del termine “management” al XV e XVI secolo, quando i tecnici inglesi raggiungevano Bologna per imparare a usare il mulino da seta e, tornati in patria, riferivano di aver appreso il “maneggio” del telaio. Le varie storpiature d’oltremanica del termine appreso in bolognese hanno portato all’odierno “management”.

In ogni caso possiamo condividere che il manager è colui che è sì capace di gestire e risolvere, ma anche – e soprattutto – colui che è in grado di condurre. Eppure, nella quotidianità, quante volte chi si trova a dover gestire i propri collaboratori preferisce sbrigare molte attività in prima persona piuttosto che delegare agli altri?

 

Il manager “maniaco del controllo”

È l’aspetto principale che contraddistingue quei manager che potremmo definire “maniaci del controllo”, impegnati per più ore di quante un giorno ne contenga. Quelli che, se posti di fronte alla domanda, “Perché non deleghi di più?” dirottano la traiettoria del problema da sé agli altri.
Perché l’obiettivo è l’unica cosa che conta, e il manager “maniaco del controllo” risponderà che il suo modo è il solo che permette di raggiungerlo. E aggiungerà che il problem solving non è l’attività che predilige, certo, ma è una croce che è costretto a portare per rimediare agli errori generati dall’altrui operato.

Ma non è ovviamente una logica orientata all’ottimizzazione l’accentrare tutti i compiti piuttosto che suddividerli tra le – spesso esigue – risorse a disposizione o peggio ancora, attuare distribuzioni del tutto sbilanciate verso coloro che si ritiene essere i migliori, lasciando di fatto scariche le persone di cui ci si fida poco.

Un fondo di verità, nelle azioni e nelle giustificazioni di questo particolare manager, esiste.
Delegare non è semplice. Ma il problema sorge già a monte, nella fase della comunicazione. I difetti di comunicazione sono infatti una distorsione tanto reale quanto comune, e la capacità di comunicare in modo corretto ed efficace non può purtroppo essere mai data per scontata. Anzi, è una di quelle competenze su cui sarebbe opportuno non smettere mai di lavorare.

Una delle regole fondamentali della comunicazione – di qualsiasi tipo essa sia – ci ricorda come la responsabilità dell’efficacia o della mancata efficacia sia sempre di chi comunica.

 

Superare il proprio punto di vista

Un altro nodo quasi freudiano è quello di uscire dalla bolla del personalismo. Accettare che per il raggiungimento dello stesso obiettivo esistano più vie, talune ugualmente valide e magari altre ancor più snelle ed efficaci, significa accettare di scendere dal palco e cedere la scena ad altri. Significa riporre in un cassetto la pretesa di essere depositari del Verbo, e che il proprio modo di fare sia l’unico giusto e l’unico possibile, per aprirsi all’altro.

In The seven habits of highly effective people Stephen Covey, sottolinea che “Molte persone si rifiutano di delegare perché pensano che questo richieda troppo tempo e troppo sforzo e sono convinti di poter far meglio da soli. Delegare in modo efficace è forse l’attività con il più alto valore aggiunto che esista.”

Delegare è un valore aggiunto e come tale dev’essere visto. È questo il primo assunto per istruire il manager “maniaco del controllo” all’arte della delega efficace. Lasciare che anche gli altri si sporchino le mani significa dargli fiducia, orientarli a un percorso di crescita, con la consapevolezza che delegare non sia un mero sostitutivo elegante del più becero “sbolognare”. Delegando, infatti, non si rinuncia al controllo sulle cose: ci si sgrava piuttosto di un enorme quantitativo di attività non prioritarie nel raggiungimento degli obiettivi del manager e spesso puramente operative.

La delega deve rientrare in una strategia orientata a lungo termine, che non venga meno non appena qualche intoppo rischia di mettere a repentaglio il raggiungimento dell’obiettivo. Per questo, una volta determinati gli elementi principali del processo di delega, occorre trasmettere la responsabilità dei risultati al collaboratore, che deve accettarla e percepirne distintamente il peso.

Importante è inoltre accompagnare a questo approccio la capacità di valorizzare quanto fatto dall’altro. Troppo spesso gli slanci di proattività sono azzoppati da manager che affossano qualunque proposta che esca dal proprio mindset. Piuttosto, incentivare e valorizzare sono colonne portanti di una strategia lungimirante, che mette il collaboratore in grado di sviluppare sicurezza e autostima e quindi portare valore aggiunto al proprio team.

 

Il coaching

Per uscire da una mera logica di “fare” e sportarsi in maniera produttiva verso il “far fare”, il manager ha a disposizione un alleato strategico fondamentale. Investire tempo ed energie in percorsi di coaching, anche per sviluppare in prima persona la capacità di fare coaching alle proprie risorse, aiuta a diventare efficaci nella delega e si attesta come competenza strategica in grado di migliorare l’attitudine all’ascolto, al fare domande e, soprattutto, all’accettare anche gli errori dell’altro.

È stato il percorso svolto per una nota compagnia di Assicurazioni, dove un ridotto numero di area manager gestiva una rete di circa quaranta district, in buona sostanza dedicando la maggior parte del tempo al troubeshooting. La strategia ha previsto un doppio percorso integrato di train the trainer e coaching individuale. Questo non solo ha permesso che gli area manager sviluppassero una maggiore attitudine alla delega, ma anche che i district intraprendessero un percorso di crescita concreta. Il risultato? Un netto aumento del profitto delle agenzie.