Sin dalla notte dei tempi a ogni innovazione corrisponde, quasi sempre, un incauto allarmismo.
Pensiamo alla radio che, prima di essere minacciata dalla televisione, era stata considerata per diversi anni una vera e propria spada di Damocle sulla vitalità del libro. Sommosse, guerre ideologiche e crociate contro l’avanguardia accompagnano da sempre l’avvento di una novità destinata a scardinare gli schemi precostituiti su cui la mente umana ama adagiarsi di buon grado. Salvo poi constatare, quando l’occhio del ciclone s’è posato su altri panorami, che niente è perduto per sempre e che, anzi, i nuovi linguaggi possono aiutare – se non a dare nuovo lustro – almeno a infondere nuova energia vitale a stilemi appesantiti dalla mano impietosa del tempo.
E non è raro rendersi conto che il nostro modo di percepire alcuni fenomeni, che spesso coincide con un sentire diffuso e mainstream, non appena lo si analizza attraverso le lenti del razionale, si rivela più o meno fallace. Le trasformazioni che negli ultimi anni hanno accompagnato il mondo del retail rappresentano in modo quasi scientifico questa distorsione percettiva e sono senz’altro uno dei pochi casi che è riuscito a scuotere tanto gli addetti ai lavori quanto l’opinione pubblica.
Partiamo dal pensiero mainstream. Non siamo certo noi i primi a salutare – con tanto di fazzoletto bianco e di lacrima all’angolo dell’occhio sinistro – il mondo del retail, destinato a soccombere ai nuovi linguaggi che altro non possono fare se non distruggerlo in perpetuo. Ma nel mondo reale i contorni assumono sfumature diverse. Da un lato, certo, la situazione oggi è critica: i fronti sotto attacco si sommano e si complicano e il competitor più feroce ha smesso da lungo tempo di essere lo sgargiante e imponente negozio dirimpetto. Ma dall’altro non si può che prenderne atto: questo mondo del retail non è impermeabile alle sue stesse evoluzioni e difficoltà ma sta anzi sviluppando forme di reazione innovative, basate sulla creatività e sul coraggio, con l’obiettivo di cogliere opportunità che sino a qualche tempo fa non erano minimamente ipotizzabili.
Il negozio di domani allora non deve imbracciare i fucili e imbarcarsi in una feroce crociata contro il digitale. Più costruttivo e lungimirante sarebbe invece fare tesoro dei preziosi insegnamenti che l’online può regalare. Dalle abitudini di consumo del cliente finale all’orientamento all’acquisto fino alle curiosità più personali: sono davvero tantissimi gli insight che il digitale permette di raccogliere e che si possono trasporre nel negozio fisico. L’obiettivo? Tramutarlo in un vero e proprio hub esperienziale. Un luogo d’elezione dove il consumatore non si reca unicamente per finalizzare un acquisto tra i tanti, ma anche e soprattutto per vivere una vera e propria esperienza. Un’esperienza che in buona sostanza non si ricrea altrove e che ha il potere di fidelizzarlo e legarlo indissolubilmente al brand. E quest’ultimo, in questo nuovo ed elettrico circuito, ha un enorme vantaggio: non venire più percepito come una realtà astratta e distante, ma come un’entità vicina, che conosce il cliente, lo ascolta e ne intercetta e soddisfa i bisogni più specifici.
Ma l’esperienza, il digitale, riesce anche a crearla ex novo. Parliamo del caso più celebre ed eclatante: Amazon Go, lo store fisico di Amazon, l’esempio forse più forte della compenetrazione tra i rigidi schemi dello store fisico e la disintermediazione e smaterializzazione che caratterizzano quello online. Tutti i prodotti sono a portata di mano, adagiati su scaffali che le nostre sinapsi sono avvezze a collegare al ben noto negozio fisico. Ma le casse, le file, perfino il nostro portafoglio così come lo conosciamo non ha più senso di esistere. È sufficiente aver collegato un metodo di pagamento al proprio account per potersi aggiudicare, legalmente, il cartone del latte. Ecco che allora non è difficile capire come questi negozi cerchino di interpretare pro domo sua le tendenze per trasformarle in fatturato. Da una parte rispondono perfettamente alle abitudini delle nuove generazioni, per le quali fare acquisti via app e mobile è poco meno di un automatismo; dall’altra strizzano l’occhio a chi, per le ragioni più disparate che possono spaziare tra analfabetismo digitale, età, stereotipi o perfino scetticismo, non si è ancora convertito allo shopping online. La parola chiave è sempre una: il consumatore, con le sue necessità, il suo modus operandi, i suoi schemi di pensiero e interazione.
Quali lezioni imparare
"L’intelligenza è la capacità di adattarsi al cambiamento"
E per cambiare senza dover rinnegare la propria natura o cadendo nello scopiazzamento più becero di formule customizzate sull’altrui realtà, bisogna partire da qui: risolvere i problemi concreti del consumatore e, allo stesso tempo, rendere l’esperienza di acquisto indimenticabile. Del resto, sono molte le formule digitali che possono arricchire l’esperienza fisica: dall’integrazione omnicanale all’offerta di nuovi servizi, passando per l’introduzione di innovazioni digitali e il lancio di nuovi format.
Morte del retail, allora? Tutt’altro. Semmai, l’alba di una nuova era: la nascita di nuovi linguaggi, nuove prospettive e nuovi emozionanti orizzonti da esplorare.