Tutti i colori della blockchain

Nell’ultimo anno termini come “Bitcoin”, “criptovalute” e “blockchain” hanno iniziato a farsi largo prepotentemente nel vocabolario comune, affollando le conversazioni davanti alle macchinette del caffè, suscitando interesse, stupore e scetticismo – spesso contemporaneamente e nello stesso individuo. Insomma, ciò che ruota intorno alla sfera delle criptovalute affascina e non riesce a lasciare indifferenti.

Se sul tema dei Bitcoin e del futuro della moneta fisica si sono scritte pagine, accesi dibattiti e costruite trasmissioni televisive, vale la pena andare a vedere come la tecnologia della blockchain potrebbe invece inserirsi quasi a sorpresa in aree che finora non avevamo considerato, proponendosi di riposizionare i confini di vari ambiti lavorativi.

La catena di cui tutti parlano

Blockchain si traduce in italiano con catena di blocchi. I blocchi che compongono quest’affascinante catena sono concatenati in ordine cronologico e sono dei record o transazioni digitali la cui integrità è garantita da primitive crittografiche.

Ogni blocco è composto da un puntatore hash che lo linka al blocco precedente, un timestamp e i dati della transazione eseguita.

Quindi la blockchain è una struttura di dati condivisa, un libro mastro elettronico pubblico, un registro aperto, simile a un database relazionale, distribuito tramite tecnologia peer to peer e condiviso tra gli utenti. Un aspetto da tenere bene a mente è che la blockchain genera una registrazione delle transizioni tra due parti che non può essere modificata retroattivamente. Infatti, questa tecnologia può sì espandersi nel tempo ma, se si dovesse verificare una modifica in un blocco, dovrebbero essere poi cambiati tutti i blocchi che seguono quello colpito dalla prima modifica, che comunque deve essere approvata dalla maggioranza della Rete.

Se è vero che la blockchain è un database distribuito gestito da una rete di nodi e ognuno di questi nodi ha una copia privata del database, appare chiaro che tale natura distribuita e il modello cooperativo permettono che il processo di validazione sia solido e sicuro. L’autenticazione avviene tramite collaborazione di massa ed è alimentata da interessi collettivi.

È inoltre importante sottolineare che ogni nodo nel sistema decentralizzato ha una copia della blockchain: infatti la qualità dei dati è mantenuta grazie a una massiva replicazione del database. Il database non ha una copia ufficiale centralizzata e nessun utente gode di maggiore credibilità rispetto agli altri. I nodi miner, gli utenti, validano le nuove transazioni e le aggiungono al blocco che stanno costruendo, solo dopo aver verificato l’intera blockchain. Una volta che il blocco è stato completato, lo trasmettono agli altri nodi della rete.

 

Scenari e opportunità

Ora che abbiamo descritto meglio qual è la natura della blockchain, s’inizia forse a intravedere perché il limitarla al solo ambito delle criptovalute avrebbe quasi il sapore di un’occasione mancata. Sono infatti diversi gli scenari che la vedrebbero bene nel ruolo di protagonista e non c’è dubbio che siano destinati a moltiplicarsi.

Pensiamo per esempio al tema della contraffazione. Una ricerca condotta dall’Euipo, l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale, ha stimato che la contraffazione sottrae circa 60 miliardi di euro in Europa, di cui 8,6 miliardi nel mercato italiano, pari al 7,9% delle vendite totali.

Gli effetti negativi della contraffazione si riverberano anche sul mercato del lavoro se si pensa che questo fenomeno provoca una perdita di 52.705 posti di lavoro ogni anno.

Senz’altro, uno dei settori più colpiti dal tema della contraffazione è quello della moda.

Una ricerca condotta nel novembre 2017 da MarkMonitor, azienda specializzata nella protezione del brand online, aveva rivelato che il 47% dei brand di moda perde vendite e ricavi a causa di merci contraffatte o pirata reperibili online, e uno su tre registra una perdita superiore al 10%.

Sono dati che mostrano come avere a disposizione uno strumento in grado di tracciare la filiera, anche solo del comparto moda, potrebbe rivelarsi strategico e avere un impatto notevole in termini economici. Pensate all’oggetto che oggi usiamo con più frequenza: lo smartphone. Ora associatelo a un’app che occupi pochi megabyte. Tanto basterebbe, grazie alle opportunità offerte dalla blockchain, per poter conoscere in pochi attimi tutta la storia di un capo di abbigliamento e quindi convalidarne l’originalità. Smartphone e blockchain costituirebbero così un binomio fondamentale per cambiare le dinamiche di un mercato che al momento non sembra aver trovato le giuste strategie di difesa di fronte alle immense ramificazioni della contraffazione.

E se ultimamente c’è un gran parlare attorno al tema delle fake news con tanto di forte sensibilizzazione da parte dell’opinione pubblica, è innegabile che le maglie della Rete siano larghissime e che Internet pulluli di elementi che nessuno si prende la briga di verificare e certificare e che invece vengono assorbiti da molti come verità assolute, o quantomeno lasciati passare come veritieri, degni di fiducia. In questo caso, uno strumento che permette di convalidare informazioni con il grado di certezza reso possibile dalla blockchain significherebbe letteralmente ridefinire le regole del Web.

E le carte in tavola, la blockchain, potrebbe cambiarle anche per quanto riguarda la certificazione delle competenze. Pensiamo al mondo della consulenza e della formazione, un mercato che nei prossimi dieci anni possiamo ipotizzare in forte crescita, grazie anche alla spinta dei numerosi freelance che già oggi ne stanno rinfoltendo le fila. In un mondo in cui molti curricula riportano informazioni scarsamente aderenti alla realtà e in cui i social professionali non hanno un presidio sui dati inseriti, un meccanismo di validazione delle competenze che passi da una tecnologia come quella della blockchain potrebbe significare andare a creare una banca dati mondiale per certificazioni, titoli di studio, corsi e così via. Un argine più che solido alla deriva delle competenze millantate e dei titoli mai posseduti, con risvolti importanti anche sul tema del recruiting e dello sviluppo personale. In futuro potremmo infatti anche accedere a un database di competenze richieste a livello europeo per un determinato ruolo, così da poter andare a colmare eventuali lacune in autonomia.

 

Alessandro Frè
Federico Ott